Montagna vera, a stretto contatto con la natura, la più selvaggia che gli Appennini sanno regalare, per un giro All-Mountain che predilige il flow. Da effettuarsi con recupero e per questo con un unica salita, metà pedalata e metà a spinta, e due lunghissime discese, per un dislivello negativo cumulato di quasi 3000 metri.
La Majella, un posto diverso da tutte le montagne dell’Appennino, non per niente viene definita Montagna Madre, un posto da dove si vede il mare, anzi sembra quasi di tuffarcisi…
…un posto dove la natura regna sovrana e incontrastata e dove ogni volta che vai ti fa innamorare sempre di più.
In autunno inoltrato poi tutto diventa ancora più magico, con il bosco tutto colorato e pronto per mettersi la coperta invernale pesante.
Così, sfidando una giornata ventosissima ma calda rispetto alla media del periodo, alle 8 di mattina, partendo dal rifugio Bruno Pomilio presso la Majelletta, senza nemmeno fare un metro di salita, ci tuffiamo subito giù per il sentiero G1 che passando per La Rapina e poi deviando a sx per il F2b e F2 ci porterà a Bocca di Valle. Rispetto alla classica discesa detta Campanaro che in genere viene effettuata per scendere a Bocca di Valle, questa, pur essendo meno tecnica, presenta un primo tratto di cresta molto spettacolare…
ed Enrico ci si butta a capofitto !
Particolarità e caratteristica di questo posto è la presenza del pino mugo, sopratutto nelle parti alte dei sentieri, e bisogna quasi sempre slalomeggiare per evitare di essere disarcionati da qualche ramo un po’ troppo sporgente…
ma si tratta di veramente poca cosa, perché poi il sentiero si apre e la cresta si mostra in tutta la sua bellezza…
con il Vallone delle Tre Grotte dall’altra parte a farci da spartitraffico…
e le gobbe di Selvaromana e Le Murelle a farci da cornice d’argento.
Ed eccola in tutto il suo splendore la cresta, e che cresta, con La Rapina sullo sfondo.
Nel percorso ci sono anche dei piccoli tratti con un po’ di rocce ma dal bivio della Rapina fino a Bocca di Valle è il flow che impera e l’unico ostacolo degno di rilievo saranno solo le foglie che ci ricordano che l’inverno sta avanzando anche se questo nulla toglie alla bellezza del trail, single track sopraffino e molto divertente.
Dopo 1 ora e 15 di discesa, con soli 11 metri di dislivello positivo, cosa non da poco anche per un sentiero in discesa, arriviamo col sorriso stampato sulle labbra a Bocca di Valle ma il nostro occhio non può non rimanere ammaliato dalla vista che ci si para davanti, con la stupenda Valle delle Monache.
E’ ora di cominciare a pedalare però e fare un po’ di fatica, sennò cosa siamo venuti a fare ?
Prendiamo così l’asfalto per Piana delle Mele, che lasciamo quasi subito perché a noi l’asfalto fa venire le bolle, e poi perché bitumare quando si può pedalare per una carrareccia molto dolce, con la possibilità di affacciarsi anche da dei terrazzi con vista monti come questi?
Il bosco prende fuoco…
a Stefano gli hanno anche steso il tappeto in terra per non fargli sporcare la bici.
Man mano che saliamo cominciano a comparire i cosiddetti indiani, ossia la faggeta in modalità winter…
ma la pedalabilità è ancora totale, fino a Valle delle Monache si pedala benissimo, poi arrivati al bivio col sentiero F3 e imboccato il sentiero F1 (quello da fare in discesa ahhh), si spinge e basta, non ci sono scuse.
Va beh dai, la monotonia della salita è stata interrotta con qualche numero, vero Enrico ?
Per quello che è il nostro standard, comunque, si tratta di uno spingismo molto tranquillo…
e in men che non si dica siamo a Campanaro dove una sosta è assolutamente d’obbligo, in quanto c’è proprio tutto il necessario per vivere, la casa per dormire…
l’acqua…
e soprattutto la terrazza con vista privilegiata.
Bello affacciarsi da qui vero Stefano ? Ma il giro è ancora lungo e nostro malgrado dobbiamo ripartire, la casa l’abbiamo lasciata aperta, quindi se volete potete andarci anche voi dal Campanaro.
Ci aspetta la parte più dura della salita, qui le pendenze cominciano a farsi importanti…
e per di più c’è anche un tratto con il pino mugo impedendoci di procedere con bici in spalla. Poi però il sentiero ritorna stupendo e questa parte in discesa deve essere proprio bella, torneremo sicuramente a rifarlo in senso contrario.
Dopo più di 3 ore di salita il più è quasi fatto, siamo a Fonte Carlese…
dove veniamo accolti da strane creature di pietra.
Il più è fatto e in un quarto d’ora siamo di nuovo sotto il Pomilio, ma svalicando veniamo accolti da un vento pazzesco, riuscirà Stefano a svalicare ?
Via via, meglio ritornare il prima possibile nel bosco, attraversiamo di corsa l’asfalto e col B1 cerchiamo di ritornare al riparo prima possibile, ma prima di arrivare nel bosco ci aspetta un lungo tratto in falsopiano che senza vento sarebbe anche divertente e totalmente pedalabile ma con le condizioni odierne dobbiamo addirittura procedere a piedi..
Ma di fronte alla vista della Valle Buglione e al Vallone di Santo Spirito il vento sembra di colpo sparire.
Enrico prova a risalire in sella…
e può considerarsi fortunato, perché Stefano poco dopo la foto viene letteralmente scaricato giù nel dirupo da una raffica fortissima.
Fortunatamente arrivati ai prati della Majelletta notiamo siamo sottovento e possiamo così tirare un sospiro di sollievo…
ma invece di seguire il sentiero originale ci fidiamo della traccia fornitaci dai nostri compari e tagliamo a sx per non perdere dislivello e lo spettacolo che ci si para davanti è veramente esaltante.
E qui il giro si sarebbe dovuto concludere e saremmo dovuti tornare indietro in quanto la Valle dell’Orfento è una riserva naturale con accesso vietato alle bici, quindi se volete proseguire tenete conto che rischiate una bella multa.
Detto ciò noi proseguiamo per il taglio proposto dai nostri amici, ma poco dopo ci pentiamo amaramente, perché per intercettare nuovamente il sentiero CAI ci dobbiamo sobbarcare una mezz’ora di smacchio nel bosco in un tratto molto ripido e sporco, vatti a fidare degli amici.
Ripreso il sentiero CAI il mondo cambia e il trail torna spettacolare, siamo sulla Rava dell’Avellana, goduria allo stato puro!
Man mano che scendiamo il sentiero diventa sempre più sporco, sebbene sempre ciclabile, ma questo si sa, è il processo di rinaturalizzazione indotto dal divieto, i sentieri vengono sempre meno frequentati ed alla fine si chiudono.
Arriviamo così al bivio B2 -B4, è tardissimo e comincia già a scurire, rischiamo di fare notte nel bosco, e non è consigliabile passare la notte in un posto popolato da orsi e lupi, quindi, invece di salire all’Eremo di Sant’Onofrio decidiamo di tagliare per il B4 e ricollegarci poi al B2 al Ponte di San Benedetto.
La scelta si rivela azzeccatissima, il sentiero è molto bello e anche abbastanza pulito ma il valore aggiunto è lo spettacolo di dove corre, sopra l’Orfento… cascate, forre, sarebbe da starci tutto il giorno per ammirare in toto la sua bellezza.
C’è anche qualche passaggino tecnico…
Sono le 17 e siamo ancora al Ponte di San Benedetto… mi sa che ci vorranno le luci, fortuna che il sentiero diventa sempre più flow.
Ma la strada da fare è ancora tanta e allora non possiamo far altro che finire il giro al buio, illuminando il sentiero coi cellulari. Alle 18.00 e dopo più di 9 ore di giro, sbuchiamo al ponte di Caramanico, è notte fonda ma ce l’abbiamo fatta.
Giro superlativo e meglio non potevamo concludere la stagione dei grandi giri in montagna, con questo itinerario di vero All-Mountain, che ci ha fatto apprezzare il meglio che la natura poteva regalarci.