Un lago speciale, lo specchio di Diana, dedicato ai rituali religiosi dei popoli latini fin dal VI secolo a.C.
Luogo magico, circondato da vegetazione lussureggiante, quello che resta delle oscure selve che ricoprivano interamente la montagna di Diana Nemorensis (Diana del bosco sacro). Nel folto del bosco, sul Monte Cavo, sorgeva un tempio in cui si svolgeva un singolare rituale. Nel recinto del santuario cresceva l’albero d’oro, nato dal ramo che Enea colse su invito della Sibilla prima di accingersi al viaggio nel regno dei morti, solo uno schiavo fuggiasco che fosse riuscito a strapparne un ramo aveva diritto di sfidare il sacerdote, ed uccidendolo poteva succedergli come “re del bosco” (rex nemorensis). La leggenda, narrata da autori greci e latini, divenne il punto di partenza di un poderoso studio condotto dal’antropologo e storico delle religioni James Frazer tra il 1890 e il 1915, nel quale ragionava di magia, di scienza e dell’origine sacrale della regalità (Il ramo d’oro).
Fu Tarquinio Prisco (regno 616-579 a.C.) ad unificare i Popoli Latini, gli Ernici ed i Volsci, dando loro una tradizione religiosa comune. Ogni anno tra gennaio e marzo sul Monte Albano si sarebbero celebrate delle feste (Feriae Latinae) in onore di Juppiter Latiaris (Giove Laziale). Qui Giove conferiva il potere ai Consoli, che appena insediati dovevano compiere riti sacrificali (ovazioni) ed in caso di vittoria in guerra, celebrare il trionfo percorrendo la Via Albana (oggi Via Sacra) fino al Tempio, situato sulla sommità del monte.
Purtroppo dell’antico tempio di Giove oggi non restano che pochi blocchi di tufo, la Via Sacra, invece, è ancora li, perfettamente conservata ed in gran parte percorribile, si inerpica sinuosa sul monte tra alberi imponenti. Un opera impressionante, larga 2,55 metri, lastricata con basoli di selce e fiancheggiata da blocchetti di peperino, rende bene l’idea dell’importanza di questi luoghi nell’antichità.
Ma il fascino storico è legato anche al rinvenimento delle navi di Caligola, due gigantesche imbarcazioni che l’Imperatore fece costruire nel lago di Nemi, lunghe 70 metri e larghe 25, veri e propri palazzi galleggianti destinati ad onorare la dea egizia Iside e quella locale Diana. Le due navi furono fatte affondare dal Senato di Roma subito dopo la morte dell’Imperatore (41 d.C), nel tentativo di cancellare le tracce di una figura che in più occasioni si era dimostrata ostile (è nota la vicenda della nomina di senatore conferita a Incitatus, il suo cavallo).
Le navi, recuperate dal governo fascista con una colossale opera di prosciugamento del lago (1928-1932), andarono distrutte la notte dal 31 maggio del 1944, in un incendio appiccato dalle truppe tedesche in ritirata. Ma non è l’unico scempio inferto dalla follia umana a questo luogo straordinario. La sommità del Monte Sacro è stata sfigurata dalla costruzione di enormi ripetitori, realizzati in prossimità del sito archeologico senza nessun accorgimento per la mitigazione dell’impatto visivo.