Benvenuti in un viaggio epico tra i sentieri selvaggi che dominano il Lago del Turano, un mix perfetto tra sfida fisica, tecnica, e panorami da cartolina. Questo percorso si sviluppa su due anelli distinti, pensati per offrire il massimo dell’esperienza enduro: gli e-biker potranno affrontarli entrambi, mentre chi pedala una muscolare potrà scegliere saggiamente su quale dei due anelli sfidare sé stesso!
La Salita – Il Battesimo del Fuoco
Parcheggiata l’auto lungo la Turanense, all’incrocio per Paganico Sabino, l’itinerario inizia subito a mordere. Dopo poche centinaio di metri su asfalto, imbocchiamo il Ratataplan, un sentiero normalmente affrontato in discesa che se fatto in salita si trasforma in un muro ostico: ripido, nervoso, disseminato di roccia viva, mette a dura prova gambe e fiato. Per chi pedala una muscolare, la scelta più saggia è risalire verso Ascrea attraverso i tornanti asfaltati, concedendosi un’ascesa più graduale.
Noi, in e-bike, con un po’ di fatica raggiungiamo rapidamente Paganico Sabino e ci tuffiamo nelle Gole dell’Obito, un canyon selvaggio dove la natura si stringe attorno a noi, con il suono del torrente che scorre giù in basso. La risalita verso Ascrea è brutale, il sentiero si inerpica con pendenze al limite, fondo smosso e sassi che rendono la trazione incerta. Serve grinta, equilibrio e controllo per non mettere piede a terra, affrontando con determinazione ogni tratto della salita. Poi, finalmente, Ascrea, e la fatica lascia spazio allo stupore, la vista si apre sul lago del Turano, scintillante tra le montagne, un miraggio dopo la battaglia.

La Sfida Finale – Il Miralago in Salita
Ma il vero banco di prova inizia ora. Un passaggio ostico ci immette sul Sentiero 323 (Sentiero Italia), un tratto che i biker conoscono bene, ma solitamente in discesa: il famigerato Miralago, ma affrontarlo in salita è tutta un’altra storia. Il percorso si snoda in mezzacosta, ma la sua dolcezza è solo apparente: gradoni di roccia e ostacoli naturali impongono continui passaggi a piedi, spingendo la bici con fatica. Eppure, la fatica è ricompensata. Tra le fronde, all’improvviso, il lago del Turano appare in tutta la sua maestosità, riflettendo il cielo come un quadro vivente. Sono istanti preziosi, dove il respiro si fonde con la bellezza del panorama. Un attimo per ricaricare le energie, prima di affrontare gli ultimi sforzi verso il varco in quota.

Raggiunta Fonte le Forche, la fatica inizia a lasciare spazio al piacere della pedalata. La salita si addolcisce, finalmente scorrevole e tutta pedalabile, permettendo di recuperare il fiato dopo i tratti più duri.

Un ampio sentiero ci accompagna tra i boschi in veste autunnale, regalando nuovi scorci spettacolari sul lago del Turano, che si svela dall’alto con le sue acque scintillanti incastonate tra le montagne. È il momento perfetto per alzare lo sguardo, lasciandosi avvolgere dalla bellezza del paesaggio mentre ci avviciniamo al valico.

Si apre l’abisso – L’Inizio della Discesa
Dopo qualche sali e scendi, il sentiero si allunga su uno sperone roccioso, e all’improvviso la valle si spalanca sotto di noi. Il vuoto si fa sentire, regalando un brivido di vertigine e un’anteprima della sfida che ci attende. Da qui, è chiaro, la discesa sarà dura, tecnica, e senza tregua.

Proviamo a partire in sella, ma i primi metri impongono subito rispetto: gradoni proibitivi, tratti spezzati da improvvisi ostacoli. Qualche passaggio obbliga a fermarsi, poi un’inaspettata contropendenza, nuove rocce, un avvio travagliato.

Ma quando finalmente il sentiero prende ritmo, la sfida si sposta sulla gestione: le rocce si diradano, ma il fondo si fa infido, un misto di ghiaia smossa e pendenze vertiginose che annullano l’aderenza. Qui servono mani ferme, gomiti stretti e totale controllo, perché ogni errore può significare finire fuori linea, o peggio, fuori sentiero. La montagna non perdona, ma per chi osa domarla, la discesa sarà pura adrenalina.

Mirandella – Il borgo perduto che non ho visto
Lo so, e me ne vergogno. Preso dalla concentrazione sulla discesa, non mi sono fermato, lasciandomi sfuggire le rovine di Mirandella, ormai quasi completamente avvolte dalla vegetazione.
Si racconta che qui un tempo prosperasse una comunità operosa, fino a quando frane, malattie e sfortune varie non suggerirono agli abitanti di abbandonare il borgo arroccato, dando origine ai paesi di Ascrea e Paganico, gli stessi che ora vediamo comparire in fondo alla valle. Ma il sentiero non molla fino all’ultimo metro. La discesa si chiude in maniera brutale, con infidi gradoni che non ammettono margine d’errore, e poi, all’improvviso, è finita.
Il Lago del Turano è lì, immobile e indifferente, mentre la fatica nelle gambe racconta un’avventura che non dimenticheremo di sicuro.

Il Ponte del Diavolo e il ritorno tra i boschi
Partiti da Ascrea, rientriamo nelle Gole dell’Obito, un passaggio suggestivo dove la natura selvaggia custodisce antiche leggende. Tra queste, la più famosa è quella del Ponte del Diavolo. Si narra che gli abitanti di Ascrea e Paganico, desiderosi di collegare i due paesi, tentarono più volte di costruire un ponte sul torrente, senza successo. Disperati, chiesero aiuto al Diavolo, che accettò di completarlo in una sola notte in cambio dell’anima del primo essere vivente che lo avrebbe attraversato. Ma gli abitanti, astuti, fecero passare per primo un cane, ingannando così il Maligno. Furioso per lo scherzo, il Diavolo maledisse il ponte, che crollò poco tempo dopo, lasciando solo alcune rovine visibili ancora oggi tra la vegetazione.

Da qui in poi, il percorso cambia volto. La durezza lascia spazio a una carrareccia ampia e scorrevole, che ci guida dolcemente verso Collegiove. Solo qualche passaggio tra rocce cadute dalla parete a picco richiede attenzione, ma per il resto la pedalata è fluida e rilassante. Immersi nei maestosi boschi di faggi, seguiamo la carrareccia che scorre senza strappi, accompagnati solo dal suono delle ruote sul pietrisco. Dopo tanta fatica, questo tratto diventa una parentesi rigenerante, l’ideale per recuperare energie e prepararsi all’ultima, intensa discesa che ci attende.
La salita da Collegiove si sviluppa interamente su carrareccia, con un fondo abbastanza compatto che la rende comoda e pedalabile, seppur intervallata da qualche rampa più ripida. A sinistra, scorci panoramici si aprono di tanto in tanto, mentre a destra le pendici rocciose del Monte Cervia si ergono imponenti, punteggiate da grotte e anfratti naturali che rendono il paesaggio ancora più suggestivo.

Raggiungiamo il piazzaletto ai piedi del Monte Cervia, ultimo punto di respiro prima della discesa. La vista è spettacolare: di fronte a noi si estendono i Monti Carseolani, mentre nella valle sottostante, come incastonati tra le colline, si distinguono i borghi di San Lorenzo, Nespolo, Collalto Sabino e Turania.
Oggi, però, la visuale è velata dalla foschia. Un sottile pioviggine ha iniziato a cadere, rendendo l’atmosfera ancora più misteriosa e affascinante. Il paesaggio sembra sospeso nel tempo, avvolto in un’aura di quiete irreale.
Discesa dal Malpasso – Adrenalina e Tecnica sulla Roccia Bagnata
Inizia a piovere, e l’aria si è fatta elettrica come prima di un temporale. I compagni in muscolare, che hanno saltato il primo anello per dirigersi direttamente verso il Malpasso, sono arrivati prima di noi e, d’accordo, indossate le protezioni, si sono lanciati in discesa, sparendo nel fitto del bosco in pochi istanti.

Ora tocca a noi. Meglio cambiare la batteria alla sportcam e indossare il k-way, perché la pioggia si fa sempre più insistente.
Il sentiero sarà ancora più insidioso. Un ultimo controllo, poi si parte.

La discesa dal Malpasso in bici enduro è pura adrenalina, un mix perfetto di velocità, tecnica e panorami mozzafiato. Partiamo con la pioggerella che accarezza il viso, e la valle che si spalanca sotto di noi, velata dalla foschia. L’avvio è veloce, ma l’ingresso nel sentiero è traumatico: gradoni di roccia con dislivelli importanti, un passaggio proibitivo per molti. Con la pioggia che ora incalza e la pietra resa scivolosa dall’acqua, non ha senso rischiare oltre: saltiamo la sfida senza esitazioni, superando quei venti metri impossibili e ci lanciamo finalmente sul single track più scorrevole.
Qui, la bici danza tra terra compatta, ghiaia e radici affioranti. Il ritmo cresce in fretta, ogni curva invita a spingere di più, ma il fondo traditore non concede distrazioni. Velocità e controllo diventano un equilibrio sottile, e ogni metro conquistato è puro piacere enduro.

Poi arriva il vero banco di prova, una sezione tecnica con rock garden imponenti, pietre smosse e passaggi stretti che non lasciano margine d’errore. Qui la bici diventa un’estensione del corpo, le sospensioni lavorano senza tregua e la scelta della linea giusta è la chiave per uscire indenni. Il cuore batte forte, ogni metro è una sfida tra equilibrio e controllo, tra istinto e abilità.

Superato il tratto più cattivo, il sentiero si apre in una serie di curve veloci, un flow naturale che spinge a lasciar andare i freni e godersi la sensazione di libertà assoluta. Ma la montagna non regala nulla, dopo un lunghissimo ripido da strizza, l’ultima parte del trail è un susseguirsi di drop naturali e ripidi che mettono alla prova anche i rider più esperti.

L’arrivo a valle è un misto di fatica e pura soddisfazione. Le braccia indolenzite, le gambe che ancora fremono dall’adrenalina, la mente che ripercorre ogni curva, ogni ostacolo superato. Un’esperienza che resta impressa nei muscoli e nella memoria, ma adesso c’è solo un pensiero: sedersi insieme a tavola, per raccontarsi la discesa tra un boccone e l’altro, e brindare a questa impresa con un meritato piatto caldo davanti.
Un saluto affettuoso ai miei valorosi compagni davventura, Sascha, Ivan, Federico, Fabrizio, Stefano e Gabriele🤙
Video-Sintesi delle due discese
Album fotografico in HD
