giovedì, Novembre 21, 2024

Un itinerario appassionante nel versante nord-occidentale del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, per una completa immersione nella natura incontaminata, esplorando antiche vestigia di civiltà remote e cimentandosi con una guida tecnica in fuoristrada divertente e mai estrema.

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Si parte da Gioia dei Marsi, un minuscolo borgo di appena 1.700 abitanti e, senza tergiversare, si sale subito in quota, inerpicandosi su una lunga carrareccia con tratti davvero impegnativi, per la notevole pendenza e per la presenza di numerosi canali scavati dalla pioggia e roccioni da sormontare.

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La suggestiva vista panoramica sulla piana del Fucino, però, ripaga decisamente gli sforzi (formuletta un po’ abusata ma in questo caso ci sta).

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Dopo 12 chilometri di dura salita finalmente si svalica, passando nella sella del Monte Serrone.

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Dopo qualche altro sali-scendi, si arriva in discesa alla suggestiva Torre di Sperone, che si staglia solitaria e imponente sull’orlo della valle. Costruita intorno al XIII secolo come parte del sistema difensivo medievale dei Marsi, la torre era un avamposto di avvistamento, cruciale per proteggere le vallate dalle incursioni nemiche.

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La Torre di Sperone

Oggi, avvolta nel silenzio della natura, la sua presenza evoca le memorie di un passato lontano, quando i cavalieri e i contadini scrutavano l’orizzonte da queste mura, pronti a difendere la loro terra. Tra i resti della storia e la bellezza intatta dei monti marsicani, la torre racconta ancora storie di lotta, speranza e resistenza.

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Di fronte a noi, a delimitare la valle sul lato opposto, le fantastiche location di altre scorribante, il Monte Romanella e il Monte Alto, e torna in mente la splendida discesa dei Cento Pozzi.

Con gli occhi incantati da tanta bellezza, inforchiamo di nuovo la bici per tornare sulla via maestra. Si prosegue in discesa ma tenete la briglia tirata, perché al chilometro 16,8 bisogna lasciare la carrareccia per prendere il sentiero in salita sulla sinistra.

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Torre campanaria della chiesa di San Vincenzo a Gioia Vecchio

Un po’ di tira e molla, in un ambiente naturale fondamentalmente gentile ma che non fa mancare qualche carezza tagliente di simpatici rovi, si giunge al rifugio Cicerana, situato in posizione dominante sulla valle omonima. Siamo in una delle aree più selvagge del Parco Nazionale d’Abruzzo, dove vivono gli ultimi esemplari dell’orso marsicano e antichissime foreste di faggi, come nella Selva Moricento, con patriarchi che superano i 500 anni di età.

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Rifugio Cicerana

Da qui in poi è tutta discesa, circa 14 cilometri, iniziando con una sterrata che diviene single track nei pressi di una cava di bauxite. Qui una sosta viene spontanea, il rosso intenso dei minerali ferrosi che si staglia sul verde circostante crea un paesaggio quasi alieno, selvaggio e affascinante, che suscita meraviglia.

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Cava di bauxite

Salendo lungo un sentiero tortuoso appaiono progressivamente tra gli alberi le rovine di Lecce Vecchio assediate dalla vegetazione selvaggia e illuminate dai raggi dorati del pomeriggio. Resti di mura antiche si ergono solitarie, un tempo parte di un fiorente borgo medievale, oggi testimoni silenziosi di una storia dimenticata.

Questo luogo, abbandonato nel corso del XIV secolo a seguito di terremoti devastanti, era un insediamento fiorente dei Marsi, arroccato in posizione strategica sulle alture per difendersi dalle incursioni saracene. Le mura spezzate raccontano di un popolo che ha vissuto nella costante ombra della terra che trema, in una regione dove la forza del sottosuolo è parte della vita stessa. Così come i terremoti moderni scuotono ancora oggi le genti marsicane, i terremoti antichi distrussero Lecce Vecchio, ma non lo spirito resiliente di chi ha imparato a ricostruire, volta dopo volta, su un terreno che, pur tremando, continua ad essere la loro casa.

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Lecce Vecchio

Dopo un breve tratto d’asfalto si svolta a destra su un sentiero in salita. Da qui inizia la parte più bella della discesa, a patto di riuscire a superare quei cinquanta metri di sentiero completamente invasi da rovi taglienti. Il sacrificio è ampiamente ripagato da poco meno di dieci chilometri di discesa su un single track naturale in prevalenza flow, con qualche breve tratto un po’ smosso, attraversando fantastici boschi e valli di impareggiabile bellezza.

Videosintesi della discesa finale

A fine discesa, un cervo imponente ci onora con la sua presenza, regalandoci un momento di rara e solenne attenzione.

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Album fotografico

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