L’Appennino perduto è un meraviglioso angolo di mondo delimitato a nord dal Fluvione e a sud dal Tronto, la cosiddetta area del monte Ceresa che con i suoi 1494 metri di quota rappresenta la punta massima, subito dopo Pizzo Cerqueto con 1347 metri di altitudine. All’origine del nome sinistro un vastissimo processo di spopolamento che oggi restituisce un territorio costellato da una miriade di paesi fantasma arroccati sulle alture e insediamenti rupestri anticamente destinati alla dimora con annesso ricovero del bestiame e dei foraggi, tutto perfettamente incastonato in un ambiente naturale di grande suggestione.
L’elevato interesse naturalistico e culturale dell’area, oltre che la sua singolarità geologica e botanica, ne fanno una cerniera fra il Parco dei Sibillini a Nord-Ovest e del Gran Sasso e Monti della Laga a Sud. Nella zona numerose frazioni si spingono anche a quote notevoli, come Capo di Rigo (m 925), Piandelloro (m 804), Agore (m 851), Peracchia (m 871), dove nel ‘500 vi trovavano rifugio i briganti, e per quello dal 1550 hanno subito numerose distruzioni volte a snidare e punire i banditi e i montanari che davano loro ospitalità. Con la grande migrazione degli anni ’50 questi paesi hanno vissuto un rapido spopolamento ed oggi in alcuni di essi l’anagrafe conta poche decine di residenti, in prevalenza anziani, mentre altri come Rocchetta o Poggio Rocchetta risultano completamente disabitati.
In assenza di una significativa inversione di rotta si può prevedere che nel giro di pochi anni tutte le frazioni montane saranno completamente abbandonate ed il venir meno di questi importanti presidi territoriali e dell’azione sistematica di manutenzione e cura del territorio, produrrà il rapido disfacimento di questo sistema montano delicato e prezioso, con scorci panoramici di immensa bellezza e pareti che si gettano picco nei torrenti con salti che spesso superano i 30 metri.
La traccia dell’itinerario
Dopo l’assenza forzata causa terremoto, non vedevamo l’ora di rimettere le ruote grasse su questa magnifica roccia arenaria. Sentieri come Piandelloro e Cocoscia sono monumenti di trail e un must per gli amanti dei sentieri tecnici, con la roccia fissa a farla da padrone, e bisogna dire che nonostante tutto li abbiamo trovati in perfette condizioni, segno che nonostante problemi più grossi a cui dover far fronte non sono mai stati del tutto abbandonati.
La nostra escursione ha inizio come al solito da Santa Maria, una piccola frazioncina a pochi chilometri da Acquasanta con la bella vista della Macera della Morte non ancora in versione prettamente invernale.
Arrivati al paesino di Ponte d’Arli e attraversato l’omonimo ponte, stacchiamo la spina col mondo ed iniziamo la lunga e solitaria salita fino a Piandelloro sul sentiero n. 3.
La bella sorpresa è che la natura è ancora in veste autunnale, sebbene le cime dei monti siano già belle bianche
ma quello che salta più all’occhio è l’abbandono dei paesi che si incontrano salendo, come San Pietro d’Arli, collegato al mondo da una sola strada sterrata anche abbastanza dissestata.
Qui il silenzio regna sovrano, si sente solo il crepitio delle nostre ruote che spostano i sassi, ma salendo di quota il rumore cambia divenendo un rotolio sibilante sui caratteristici banchi di arenaria.
Anche la vista panoramica diventa sempre più suggestiva, con i monti Gemelli (Montagna dei Fiori e Montagna di Campli) in primo piano a dominare la scena.
Ma è solo dopo aver guadagnato il crinale che viene il bello, e rimaniamo letteralmente a bocca aperta: una distesa di arenaria sospesa sul fosso dei Mottari, con il Vettore bianchissimo che fa appena capolino, davvero notevole da questo punto il paesaggio.
Da qui a Piandelloro il passo è breve, anche perché, eccetto qualche piccolo rilancio, la strada è quasi tutta a favore, con un magnifico bosco in technicolor ed il Monte li Cucchi che ci osserva dall’alto dei suoi quasi 1000 metri di quota.
Ed eccoci alla prima discesa di giornata, ovvero il sentiero 425 del Fosso dei Mottari che non ha bisogno di presentazioni in quanto must della zona. Beh, che dire, discese così non si trovano tutti i giorni ! Ricordo che la prima volta che percorsi questo sentiero baciai il cartello che c’era in fondo ahahahah, bellissimo, solo ed esclusivamente roccia fissa, Nico è nel suo regno !
Con molti passaggi tecnici a gradoni
ripidi, tornanti gradonati, il repertorio qui è davvero completo, ci sono perfino dei tratti flow, ma è sempre e solo esclusivamente sentiero con una visuale molto privilegiata.
Dopo la prima scorpacciata di gradoni e guadato il fosso di Piandelloro
altra chicca, un caratteristico passaggio sotto le rocce scavate
rocce che qui sembrano vive perché trasudano
e poi il gran finale, dove ci inventiamo anche qualche piccola deviazione ancora più accattivante, tanto per non farci mancare nulla !
E con il budello finale come ciliegina sulla torta terminiamo la discesa con l’adrenalina a mille.
La salita per Venamartello è asfaltata ma il contesto è bellissimo, con il Tallacano che svetta sulla valle
regalandoci scorci magnifici.
Arriviamo così al bivio per Cocoscia, e volendo, se si vuole accorciare un po’, si può girare a destra ed evitare la discesa dei tubi da Venamartello, risparmiando anche un po’ di dislivello. Noi stakanovisti della MTB invece vogliamo provare anche questa discesa, detta dei Tubi perché passa proprio sotto la condotta idroelettrica. L’imbocco è proprio dietro al paese di Venamartello, su un bel balcone panoramico.
La discesa è tranquilla e solo all’inizio presenta qualche piccolo gradoncino…
poi scorre flow con qualche tornante ma nel complesso non è lunga e in un batter d’occhio ci ritroviamo sulla strada che va a Tallacano poco prima del bivio per Forcella.
Nuova risalita per la strada già percorsa ma stavolta prima di Venamartello giriamo per Cocoscia dove ci attende l’altra discesa cult. Rispetto a Piandelloro ci sono un po’ meno gradoni che sono concentrati soprattutto nella parte iniziale,
Nicola è nel suo parco giochi…
Poi arriva il tratto in cui sono chiaramente evidenti i segni del terremoto
il vecchio sentiero è stato ridisegnato, la montagna è stata letteralmente frantumata, vedendo quello che è successo ci sono venuti i brividi..
rocce enormi si sono staccate dalla montagna rotolando giù per centinaia di metri, come foglie al vento
ma fortunatamente la zona interessata dal sisma è molto breve, per il resto è sempre il solito bel sentiero che conoscevamo, con ripidi e passaggi mozzafiato
che ci fa divertire come sempre in un susseguirsi di bei passaggioni fino al guado del Fiume Tronto sotto Santa Maria dove si conclude il nostro tour.