Non servono tanti preamboli, questo itinerario è godimento ai massimi livelli da tutti i punti di vista: paesaggi strabilianti e unici, natura vigorosa e straripante, salite a tratti impegnative ma mai troppo severe, e poi, la discesa finale sul sentiero del Cento Pozzi è un vero e proprio orgasmo, di quelli intensi e profondi.
La traccia del percorso
Si parte dalla piazza centrale di Trasacco, dal latino “Transaquas”, ovvero “al di là delle acque”, in quanto fondata dall’imperatore Claudio tra il 41 e il 52 d.C., dopo il primo prosciugamento del lago del Fucino.
Dopo circa 5 km di asfalto, si imbocca una carrareccia un po’ sconnessa che ci conduce a Collelongo, poi, da qui, si abbandona la civiltà per immergersi in un magnifico bosco, su un sentiero in continuo mutamento, ampio e gentile per lunghi tratti ma spesso si assottiglia, passando tra rocce imponenti o costeggiando pendii esposti, ma comunque mai ostile, sempre godibile e pedalabile.
La luce radente sugli alberi ancora spogli rende il bosco lucente, brillante, sembra di essere nel pieno in un viaggio acido.
Dopo qualche passaggio più ripido, su una carrareccia un po’ sassosa e smossa, si esce dal bosco imboccando un magnifico single-track con passaggi molto panoramici ed anche divertenti dal punto di vista della guida tecnica.
La salita termina in un piazzale panoramico con una magnifica vista sul versante meridionale, con il Pizzo Deta e il monte Viglio a tracciare la linea dell’orizzonte. Nel fontanile acqua freschissima, ma purtroppo non c’è una cannella da cui bere, l’immissione nella vasca avviene da sotto il livello dell’acqua, è fatta per abbeverare gli animali al pascolo, non gli umani.
Alle mie spalle avverto una presenza sinistra, un albero dal tronco contorto, sagomato dalla severa esposizione ai venti invernali in alta quota, una location niente male per un convegno notturno di streghe.
Da qui si procede su una comoda e panoramica carrareccia che, alternando tratti in salita a brevi discese, si snoda tra i rilievi in mezzacosta, reganando scorci panoramici di struggente bellezza.
Dopo Grotta Ferretti si apre la vista sul versante settentrionale, offrendo un anticipo prospettico sulla Valle del Fucino, il Gran Sasso d’Italia e la Majella, ma, per economia di spazio, rinvio il godimento alle foto scattate dalla vetta del Monte Alto.
Eccolo, è la terza delle tre alture, quella più puntuta, procediamo con cautela all’avvicinamento.
Quella che sembrava una comoda carrareccia che ondeggiando conduce fin sulla cima, svela pian piano il suo vero tenore, divenendo, negli ultimi tratti, una pietraia ostile e impedalabile. Con e-bike in modalità Power, tuttavia, rimanendo in prossimità dei margini della carrareccia, si può azzardare la scalata, e se si riesce a rimanere in sella rimbalzando tra i sassi, si può arrivare in cima pedalando.
Eccoci in vetta, la vista da qui è strepitosa.
La valle del Fucino con il Gran Sasso d’Itaia innevato.
La Majella con i ghiacciai in fusione.
La vetta però, bisogna dirlo, è male arredata, un ripetitore con libero accesso al pubblico (la recinzione è divelta), fa rimpiangere la classica croce con apposto il nome del monte e la quota.
Vabbè, gli volto le spalle godendomi il Romanella, mentre mi preparo per la discesa.
Parto in bici dalla vetta, un pezzo di cresta, e poi giù nel bosco, sul serpentone infinito del Cento Pozzi, un toponimo che trae origine dalle innumerevoli cavità carsiche che punteggiano il versante, alcune delle quali caratterizzate dalla fuoriuscita di correnti d’aria gelida, e per questo impiegate fin dall’antichità per la conservazione di merci deperibili o per lo stipamento della neve fino alla stagione estiva. Ma le leggende che animano questi luoghi narrano di briganti inafferrabili e di tesori ancora custoditi nelle viscere della terra, in attesa di audaci esploratori che li riportino alla luce.
Io tiro dritto, è quasi sera ed ho una bella fame, per i tesori toccherà tornare un’altra volta.
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